Tigullio: streghe, diavoli e luoghi maledetti. Quando e perché la Storia diventa leggenda


Nella religione romana il Genius loci era un’entità naturale e soprannaturale legata a un particolare luogo. Quel che faceva sì che le cose, in quel lembo di Universo, fossero così e non altrimenti, quel che lo rendeva terra di elfi e fate, oppure di fantasmi e demoni. Nel corso del tempo il genius loci ha saputo adattarsi al cristianesimo. Sappiamo, da Heinrich Heine*, “che gli antichi dèi (…) rovesciati dalla fulgida vetta della loro potenza in seguito alla vittoria di Cristo, sopravvivevano nell’oscurità di antichi templi in rovina o di foreste incantate, allettando alla perdizione (…) i deboli cristiani che vi si smarrivano”. La persistenza del mondo pagano fino a un’epoca vicina alla nostra è qualcosa che ci interessa da vicino. Alcuni riti sopravvissuti nel Tigullio fino a non molto tempo fa affondano indubbiamente in un’epoca molto distante. A metà dell’800, a Santo Stefano d’Aveto, era ancora viva un’usanza particolare: quando qualcuno cadeva malato, lo si portava alla centenaria quercia del Mulino a Villa Cella. Qui il poveretto veniva legato ai rami con piedi e mani incisi con una lama, affinché la linfa dell’albero, entrando nel sangue, lo guarisse. Pare anche che Montallegro, prima di diventare teatro dell’apparizione mariana, fosse luogo caro alle donne guaritrici, che fin dall’epoca dei Tigulli vi raccoglievano le erbe secondo un calendario preciso, agli orari propizi, prima di farsi più accorte per il rischio di incorrere nell’accusa di stregoneria, la stessa che colpì la povera Catterina. A restituirci il gusto di queste suggestioni è Simonetta Valenziano in un libro di oltre 20 anni fa, che oggi si può facilmente trovare o in una comune biblioteca o nelle imperdibili bancarelle di reminder: “I Misteri della Liguria. Streghe, Fantasmi, Santi e Incantesimi nella tradizione ligure da Spezia a Ventimiglia” (De Ferrari).