Il 23 settembre le ore di luce e di buio saranno le stesse. Accade due volte l’anno: durante l’equinozio di primavera e durante quello d’autunno. L’autunno, la stagione della liguritudine. Che cosa indichi questo neologismo, liguritudine, andrebbe chiarito una volta per tutte. Qualcuno dice essere un’attitudine, forse un’abitudine, ma perché no: anche beatitudine e solitudine in felice congiunzione. Sì, quando il vociare dei turisti sfuma, quando vie, calate e piazzette tornano a manifestare la bellezza del vuoto pneumatico, quella bellezza che si mischia a una tavolozza di colori che il calo dell’umidità e del vapore acqueo nell’aria rende più nitida, tagliente, esplosiva. Ecco, si dirà, la solita misantropia dei liguri che odiano i turisti. No, sarebbe ingiusto.
Durante l’estate i liguri vanno in apnea e si dispongono pazientemente a soffrire per mettere prezioso fieno in cascina, e di questo sono grati al turismo. Ma qualcosa, durante quei due, tre mesi di pieno, di fronte a noi cambia: la folla di persone che si accalca fuori dai panifici e lungo i moli modifica i connotati del paesaggio, che si antropizza ogni oltre misura, che evoca un volto tumefatto da punture di calabrone. Salta alla mente un appunto del giornalista Piero Scanziani durante una sua esperienza in India.