La strada che sale dall’Abbazia di Borzone procede per tornanti stretti. Poi, a un tratto, ti trovi sotto di lui. C’è chi dice che raffigurerebbe il volto di Cristo e che sarebbe opera dei monaci benedettini per convertire gli abitanti del Penna, verso cui è rivolto. Altri sostengono che risalirebbe a una data compresa fra il paleolitico e il neolitico – fra il 20.000 e il 3.500 a.c. – e che sarebbe quindi un menhir antropomorfo. Sono salito al suo cospetto – al cospetto del Volto di Cristo “megalitico” – per indagare questo mistero, il più affascinante fra quelli custoditi dalle nostre valli. Un mistero che affiora nel 1965, quando l’allora assessore Armando Giuliani rinvenne il manufatto durante un sopralluogo per la costruzione della strada di collegamento.
Una scultura rupestre non può parlare, forse. Ma la sua presenza muta e discreta esclude che possa comunicare qualcosa e che questo flusso di informazioni possa tradursi in parole? Se così fosse, nessuno si sarebbe preso la briga di darle forma e di rendere eterna la propria immagine interiore: di un dio o, addirittura, del Figlio di Dio. Sedersi ai piedi della scultura col taccuino in mano appare quindi meno folle di quanto possa sembrare di primo acchito. “Anche se, ti garantisco, non lo ha mai fatto nessuno”, mi sussurra il volto…