Il professore belga che parlava il genovese, Hugo Plomteux e “la cultura contadina in Val Graveglia”


Vi fu una certa urgenza, a cavallo degli anni ’60 e ’70, di girare la provincia italiana, soprattutto quella del Nord, armati di taccuino e magnetofono. Lo fece Nuto Revelli, che batté palmo palmo la provincia di Cuneo per intervistare quei contadini che chiamò poi “i vinti”: i vinti dallo sviluppo, dal progresso, tagliati fuori da una società che cambiava e che emarginava chi non danzava ai suoi ritmi, chi decideva di restarne ai margini. Ne scrisse, ampiamente, Pier Paolo Pasolini da metà degli anni ’60 in poi, denunciando quella violenta mutazione antropologica che avrebbe cancellato la vita contadina a favore del “nuovo fascismo” rappresentato dalla società dei consumi. E fu proprio nel 1966 che un giovane linguista belga di 27 anni, di nome Hugo Plomteux, prese la via della Val Graveglia. Anch’egli, per certi aspetti, in fretta e furia. Doveva correre più veloce di quel “livellamento culturale” che di lì a poco avrebbe eroso il suo “oggetto di ricerca”. Ma la sua finì con l’essere molto di più di un’impresa scientifica.