Eretici di ieri e di oggi. L’eredità dei cantastorie Cereghino


C’era una volta una famiglia di cantastorie. Di sciallin, per usare il termine genovese. E’ un curioso destino, per delle voci narranti che a cavallo dell’800 giravano di piazza in piazza, di valle in valle, trasformarsi nei protagonisti di una vicenda che ha i contorni un po’ del romanzo manzoniano e un po’ della tragedia shakesperiana. Ed è per meglio capire questa storia – riemersa agli onori delle cronache anche grazie allo scrittore Giovanni Meriana, scomparso pochi giorni fa – che vale la pena risalire la strada che dal fondovalle fontanino giunge a Castello, frazione di Favale. Qui sorge il minuscolo cimitero valdese. L’aria è quella di “montagna”, aria che eretici e ribelli hanno sempre respirato a pieni polmoni.

Il cimitero è un piccolo perimetro di pietra in mezzo a una porzione di bosco che lo custodisce come un tesoro, fra due tornanti di curve. Poche le tombe, ombreggiate dai cipressi. E’ uno di quei luoghi dove la sensazione di pace profonda fa da eco al soffio del vento fra gli alberi. Vento freddo, che risveglia i sensi, ma non gelido. Qui riposano, una accanto all’altro ,Vittoria e Giuseppe Cereghino.